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LE SCULTURE RAKU DI MONICA MAFFEI

L’ANTICA TECNICA RAKU
 
L'invenzione della tecnica raku è attribuita ad un artigiano coreano addetto alla produzione di tegole
dell'epoca Momoyama (XVI secolo d.C.), Chojiro, che la sviluppò per facilitare la fabbricazione delle ciotole per la cerimonia del tè . Il termine giapponese raku significa "comodo, rilassato, piacevole, gioia di vivere", e deriva dal sobborgo di Kyōto nel quale era estratta l'argilla nel sedicesimo secolo. Da quel momento divenne anche il cognome e il sigillo della stirpe di ceramisti discendente da Chojiro, tuttora attiva in Giappone. Nel diciottesimo secolo un manuale ne spiegava la tecnica in dettaglio, e da allora il raku si diffuse anche fuori del Giappone.
Le ceramiche raku sono molto quotate e ricercate.
L'effetto decorativo, con riflessi metallici e la cavillatura, la singolarità del processo, durante il quale l'oggetto è estratto incandescente dal forno, ne fanno una tecnica estremamente originale, che stravolge il metodo classico. Durante il processo raku il pezzo subisce un forte shock termico: è quindi necessario utilizzare un'argilla robusta e refrattaria. Questo tipo di materiale possiede al suo interno sabbia e granelli di argilla già cotta, chiamati chamotte, che ne diminuiscono la contrazione, evitando così le fratture.
Il pezzo in argilla refrattaria bianca, dopo esser stato modellato, è cotto una prima volta a 950-1000 °C; successivamente avviene la decorazione. In questa tecnica si utilizzano ossidi o smalti; per avere una colorazione verde, ad esempio, non si utilizzano pigmenti di quel colore, ma l'ossido di rame.
 
 

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